Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...

Lo scudetto va all'Inter: secondo titolo

Siamo sicuri che a un certo punto della partita contro il Siena, magari dopo che Thiago Motta aveva fermato a terra con il braccio il cross di Rosi, e poteva starci il rigore, l’Inter ha rivissuto le angosce di due anni fa a Parma, consapevole che stavolta non ci sarebbe stato Ibrahimovic a salvarla dalla rimonta della Roma. Lo si capiva da come zompavano in aria i «panchinari» ad ogni decisione contrastata: la paura di sbattere sull’ultimo ostacolo univa il campo e gli spalti, dove i tifosi interisti erano più numerosi dei senesi. E più increduli. È stato lì che la «Pampa Connection» ha levato dai guai Mourinho. Javier Zanetti si è infilato alla sua maniera tumultuosa in un corridoio della difesa, Diego Milito ne ha raccolto il pallone smarcandosi da Terzi e l’ha messo nell’angolo basso dove un Curci al di sopra di qualunque aspettativa non poteva arrivare. Minuti 11, secondi 19 della ripresa, il campionato aveva infine il padrone. Il più atteso. Il più logico. Il suono del diciottesimo scudetto nerazzurro è argentino come lo è la squadra imbottita di sudamericani senza fronzoli, pure i brasiliani (Lucio, Thiago Motta, Julio Cesar, Maicon), che non appagano il gusto del gioco ma inseguono con feroce e fisica determinazione quello del successo. Raggiungendolo: Coppa Italia e scudetto in attesa di conoscere l’esito della finale di Champions contro il Bayern.

L’epilogo riflette l’Inter. Ne ricordiamo rare prestazioni sontuose in serie A, quante se ne contano sulle dita di una mano, e tra queste i due «derby». Però nella costruzione dello scudetto sono state decisive le partite come questa di Siena, tirate via di forza. Nove vittorie su 24 conquistate con un gol di vantaggio. Citiamo a memoria i tre punti presi all’Udinese a San Siro con un gol di Sneijder al terzo minuto di recupero; altrettanti rapinati nell’andata al Siena, con due reti tra l’88’ e il 93’, quando la sconfitta appariva sicura e pesantissima. In una soluzione tanto complessa che si è atteso il secondo tempo dell’ultimo match per arrivarci, se si togliessero all’Inter i punti guadagnati in extremis e si restituissero alla Roma quelli gettati via nei minuti finali probabilmente celebreremmo altri campioni d’Italia. Non è un’ombra sullo scudetto nerazzurro, anzi è il complimento a chi ha usato ogni arma, a cominciare dal carattere, e non soltanto le virtù della classe: è lo stesso lato della medaglia che i nerazzurri hanno esibito a Kiev con la Dinamo, a Londra con il Chelsea e soprattutto al Camp Nou contro il Barcellona. È stata un’Inter tosta, caduta soltanto nel mese di crisi (dal 7 marzo al 10 aprile) in cui racimolò solo 9 punti in 7 partite, appannamento senza il quale Ranieri e la Roma non si sarebbero mai avvicinati. Come ci sprofondarono, i nerazzurri ne sono usciti più forti e convinti di vincere su qualsiasi fronte.

I successo di Siena è il compendio di tutto. Era cominciato dallo stranguglione sofferto dopo 6’ quando Ekdal, lo svedese passato per la Juve, ha graziato Julio Cesar mettendo a lato un pallone facilissimo. Cosa sarebbe successo se avesse segnato? Forse nulla. Magari l’Inter avrebbe scaricato i nervi e giocato come fece a Milano contro il Barcellona dopo essere andata in svantaggio. Di sicuro il corso del match e del campionato sarebbe cambiato se il Siena avesse realizzato più tardi quando da Verona era arrivata la notizia dei due gol della Roma e l’anima nerazzurra si era caricata di ansie. Le strepitose parate di Curci sui colpi di testa di Milito e su una deviazione di tacco di Eto’o, la traversa sbatacchiata da Balotelli (a lungo il più vivace dell’attacco) con una mezza girata al volo, i tiri finiti fuori di un niente, la conclusione di Milito all’8 della ripresa col portiere senese in volo a deviarla, insomma la matassa di sprechi maledetti avevano segnato le convinzioni interiste.

Il Siena giocava una partita vera. Difendeva in dieci negli ultimi 40 metri, Curci e Aleandro Rosi erano un pezzo della Roma, in cui sono cresciuti, schierata a difesa dell’ultimo sogno. Giocavano alla morte. Gli interisti non trovavano il ritmo, la manovra si incagliava. Affannosa. Partivano gli inutili Sputnik di Materazzi, i lanci casuali che sono la benedizione di qualsiasi difesa organizzata bene. Mou, provando il tutto per tutto, metteva Pandev: c’erano 4 punte vere più Sneijder per una formazione disperata. Il colpo di mano di Zanetti rappresentava l’eversione. Insomma era con una giocata che si bacchetta se la fanno i bambini delle scuole calcio che l’Inter cavava lo scudetto dal buco. Era finita, nonostante i brividi di un cross sballato di Rosi che quasi finiva nell’angolo alto e di una parata maldestra di Julio Cesar. Mourinho sparava una bestemmia in viva voce sul primo; si segnava con la croce sulla seconda. Ai cristiani a volte succede di non sapere come comportarsi nei momenti di paura. Il buon Dio comunque decideva di lasciargli lo scudetto.

lastampa.it
Tags: × ×

2 comments

  1. Ciao Rox, aspettavo il tuo articolo. Grande. :)

    Sabato sera sarà una battaglia durissima. Forza ragazzi, scriviamo le pagine di una leggenda.

    Un saluto.

    LeNny

    RispondiElimina
  2. Ciao LeNny, purtroppo negli ultimi giorni non ho avuto abbastanza tempo per dedicarmi al Blog. Prometto di scrivere post reportage sugli ultimi trionfi non appena possibile.

    ciao

    RispondiElimina