La mancanza di aggressività è apparsa per oltre un’ora un difetto vitale dei rossoneri. Futebol brasileiro, futebol bailado. Però un conto è la danza con cui il Brasile ha avviluppato l’Italia martedì a Londra, stritolandola come le spire del boa, un conto è stato il balletto iniziale dei Ronaldinho e dei Pato contro l’Inter: di là c’era gente balorda, argentini tignosi come Cambiasso, ruvidi come Samuel, uomini che non si fanno incantare e il Milan è scomparso nel primo tempo in cui appoggiava l’azione sulle due punte senza liberarle al tiro, tanto che Julio Cesar se la cavava acchiappando soltanto una palla di rimbalzo. L’Inter non entrerà mai nelle fiabe. Tra 20 anni ne parleremo come di una squadra vincente e la scia dei quattro scudetti consecutivi (tre veri, uno di carta bollata) che si appresta a completare sono un record che mancava dal quinquennio juventino nell’anteguerra, però non la ricorderemo come una macchina da calcio entusiasmante. Eppure, nella sua semplicità, l’Inter funziona. Palle lunghe, difesa protetta dal centrocampo. Mourinho ha spiegato a tutti che che non era importante vincere il derby ma lo scudetto. Aveva evitato di aggiungere che uscendo imbattuti contro il Milan, la corsa verso il titolo sarebbe stata in discesa e ha puntato sul non prendere rischi. L’equilibrio tattico dell’Inter era perfetto, squadra raggrumata e pronta a ripartire, quello del Milan invece era traballante come un carretto dalle ruote svergole, tanto che i gol dei nerazzurri (e soprattutto quelli sbagliati davanti alla porta da Stankovic al 18’ del primo tempo e Adriano al 2’ della ripresa) hanno colto la difesa rossonera senza protezione, aperta, sbilanciata. Se poi si ha la fortuna di imbattersi in Kaladze, che in via Turati considerano intoccabile forse perché oltre al calcio si interessa di business (se entra anche in politica chi vi ricorda?), i danni che si possono fare sono notevoli.
Questa volta Mourinho non potrà vedere complotti. Gli errori della terna arbitrale sono a suo favore, soprattutto l’1-0 di Adriano che ha spinto la palla in porta con il braccio sul cross di Maicon. Da lì l’Inter ha costruito la vittoria corroborata dalla gran rete di Stankovic, libero di tirare nell’angolo basso dopo una spizzicata aerea di Ibra, l’unica nota importante dello svedese. Ci voleva l’uscita di Beckham (e poi di Kaladze) a rinvigorire il Milan o almeno a mettergli il pepe di Inzaghi che tra un fuorigioco e l’altro teneva in allarme la difesa nerazzurra: con quell’ossesso da controllare, gli interisti diminuivano la pressione su Pato e Ronaldinho, che diventava finalmente decisivo. Arretrava a prendere palla, la infilava nei corridoi, come nell’azione del gol, rifinita da Jankulovski per Pato. Era quello il futebol che il Milan avrebbe dovuto inventarsi dall’inizio. Mourinho da modernissimo stratega per proteggersi infarciva la squadra con Vieira e due difensori, come avrebbero fatto un Rocco o un Trap, che però erano antiquati. E mentre l’Inter sprizzava gli ultimi veleni che Abbiati rendeva innocui, i rossoneri cercavano il pareggio sbattendo nei riflessi di Julio Cesar e in un intervento da rigore di Chivu su Inzaghi, ignorato per lasciare spazio al tiro di Pato. Mourinho ne prenda nota.
(fonte: lastampa.it)
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