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Il grande mistero dell'Inter: conta più Biscardi o Mourinho?

Scusate se sorvolo sulla partita di oggi a San Siro ma mi sembra più importante quello che, in casa Inter, sta succedendo fuori dal campo.

Comincio da Mourinho, in quanto uomo simbolo della rivoluzione voluta da Moratti in estate. Vi sarete sicuramente accorti di come il portoghese, negli ultimi giorni, abbia modificato il suo modo di rapportarsi con l'esterno. All'inizio  gli avversari per lui erano sempre mezze calzette, i suoi colleghi dei rincoglioniti e i giornalisti tutti frustrati. Oggi riconosce i meriti della squadra non propriamente da scudetto che lo inchioda sul pari in casa, elogia il tecnico di quella squadra, affronta i media con spirito remissivo.

Un cambio di rotta vivamente "consigliato", diciamo così, dal suo presidente. Che aiuta a comprendere meglio anche il vero motivo per cui l'Inter si è disfatta in quattro e quattr'otto di Mancini. Cinque anni fa la prima esigenza di Moratti era vincere uno scudetto. Se non altro per giustificare con se stesso, con la sua famiglia, con i suoi tifosi, con l'opinione pubblica, gli enormi investimenti andati in fumo fino a quel momento. L'esplosione di Calciopoli è stata l'occasione per trasformare quell'esigenza in una vera e propria crociata degli onesti contro i disonesti e in quest'ottica anche i furiosi attacchi di Roberto Mancini al potere erano straordinariamente funzionali. Ma una volta raggiunto l'obiettivo, anzi due volte sul campo e tre considerando il titolo assegnato a tavolino, l'esigenza è diventata un'altra: sbarazzarsi dell'immagine barricadera e recuperare buoni rapporti con il mondo del calcio.

Perchè non bisogna dimenticare che Moratti, sotto sotto, aveva già preparato un sontuoso contratto da direttore generale a Moggi. E un non meno sontuoso contratto da allenatore a Capello. Dopo aver coperto d'oro, a suo tempo, un'altra icona bianconera come Marcello Lippi. Non bisogna dimenticare che, quando c'era da spartirsi la torta dei diritti tv, stava sempre dalla parte di Juve e Milan. E tutto questo succedeva in tempi già fin troppo sospetti, mentre lui e tutto il popolo nerazzurro si maceravano nel ruolo di vittime tanto predestinate quanto inconsolabili. Mentre l'impagabile Giacinto Facchetti, che di onestà era maestro, ci metteva la faccia contro Galliani e Giraudo salvo poi vedersi costretto dagli input aziendali a votare per loro nelle assemblee di Lega.

Dunque, vinti gli scudetti e dimostrato che non era un presidente farsa come molti credevano, Moratti ha deciso che bisognava alzare il tiro. Possibilmente anche in campo, cercando di contrastare quell'antipatico predominio del Milan in Europa e nel mondo, ma soprattutto sul piano dell'immagine. E qui entra in gioco Mourinho: l'allenatore più forte del mondo, dice il suo presidente, un tipo effervescente e dissacrante che fa bene al calcio italiano, dicono gli avversari, una manna per gli sponsor, dice il direttore generale Paolillo. L'uomo giusto, insomma, perchè l'Inter cancelli il passato vecchio e recente e si rifaccia una verginità.

Tutto bene, all'inizio. Anzi, dal punto di vista di Moratti, molto meglio di prima: perchè Mancini ingaggiava furibonde polemiche solo per difendere l'Inter e ogni volta questo creava inevitabilmente un caso politico, Mourinho invece si preoccupa solo di difendere se stesso, il che lo rende personaggio molto meno scomodo e molto più accattivante. Ma poi arrivano le porte chiuse ai tifosi, gli attacchi a Juve e Milan, il braccio di ferro su Quaresma, le smusate in tv, la sparata sui milioni che guadagna, la prima ferita all'orgoglio presidenziale con il derby perso, una squadra che non solo non incanta ma spesso stenta anche quando vince. Così Moratti  convoca il suo allenatore e gli dice, in sostanza, di darsi una bella regolata. In campo e fuori.

Mourinho china la testa, perchè di fronte al padrone anche gli Special One diventano dipendenti normali. Del resto lui l'ha sempre riconosciuto: "L'unico che può dirmi cosa devo fare è Moratti". China la testa e, come si diceva, cambia radicalmente atteggiamenti e toni. Ma oggi, nel dopopartita di San Siro, ecco la nuova sterzata. Per la prima volta dall'inizio della sua avventura italiana, il tecnico cambia toni e atteggiamenti anche nei confronti della squadra e scarica pubblicamente alcuni giocatori. "Qui c'è uno solo che comanda e sono io", il succo della sua lunga reprimenda. Un colpo di teatro per riprendersi la scena, dopo che per giorni si è detto e scritto di come Moratti l'abbia rimesso in riga? Una prova di forza per sfoltire la rosa sul mercato di gennaio, come lui chiedeva già in estate? Un messaggio per far capire che l'interessamento del Manchester, al di là delle dichiarazioni ufficiali, non lo lascia indifferente? Di sicuro è difficile credere che il vero obiettivo di Mourinho siano Cruz o Balotelli, o chiunque altro lascerà fuori dai convocati per Firenze. Attaccare in pubblico i propri giocatori è sempre un segno di debolezza, non credo che un tipo sveglio come il portoghese cadrebbe mai in questa trappola. E poi lo sfogo arriva in una giornata particolare, dove il tecnico ammette per la prima volta anche di non essere soddisfatto dei suoi primi mesi in Italia, persino di non essere ancora entrato in certi meccanismi del nostro sistema calcio.

Giornata che segna anche il ritorno ufficiale dell'Inter al fianco di uno dei protagonisti più discussi di Calciopoli. La padrona di casa è Simona Ventura ma in collegamento da San Siro per "Quelli che il calcio" c'è Aldo Biscardi, che insieme a molti altri ex reietti sta riguadagnando posizioni, e Bedi Moratti lo asseconda lasciandosi intervistare volentieri. Altro dettaglio da non sottovalutare, nell'operazione recupero immagine e buoni rapporti (sic!)

Circa un anno fa, quando l'Inter ancora viaggiava a gonfie vele in campionato, scrissi in un post che nonostante i risultati il rapporto fra Mancini e Moratti era vicino ad una svolta. Qualcuno di voi mi rispose in tono ironico, dicendomi di aprire gli occhi perchè l'Inter mai e poi mai avrebbe rinunciato all'unico allenatore che dopo una vita l'aveva fatta vincere, anzi stravincere. Beh, sappiamo tutti com'è andata a finire: e per favore non tirate fuori la storia dello sfogo dopo il Liverpool, perchè ormai anche i bambini hanno capito che se quella notte Mancini disse certe cose è perchè sapeva che il suo presidente aveva già ingaggiato Mourinho (così come sapeva che molto tempo prima aveva già preso Capello). Quasi un anno dopo, registro il fatto che l'Inter è sempre in testa alla classifica e comanda pure il suo girone di Champions League. Ma che qualcosa non torna lo stesso, altrimenti Mourinho sarebbe molto più sereno di quanto è apparso oggi. E ancora una volta, quello che non torna non sono i risultati. Cosa sarà?

(fonte: Laura Alari)

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