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Inter-Barcellona, pari da paura

Il Barcellona e l’Inter si sono chiesti perché giocare a San Siro la partita velenosa che molti aspettavano, soprattutto da parte dei nerazzurri per via del tradimento di Ibrahimovic e perché tutti vorrebbero battere la squadra più ammirata del mondo. Riposti i coltelli, quasi non si sono visti i temperini. E se il Barcellona sul piano del gioco non ha fatto scendere in campo gli interisti, davanti alla porta non ha avuto la cattiveria per infierire e portare a casa un vittoria reale, anziché ai punti. Zero a zero. Mourinho può ringraziare. L’Inter ha preso alcune cose dal suo allenatore. Non la sfrontatezza.

Se Mou si sente il migliore di tutti, la squadra avverte quando chi le sta davanti ha più qualità o, come nel caso del Barcellona, si comporta con padronanza al limite della presunzione. Allora l’Inter rimpicciolisce. In Italia non le succede mai, in Europa qualche volta. Non è che tra i catalani ci siano soltanto fuoriclasse. Abidal è un terzino quasi normale; a centrocampo, finché Iniesta è usato con il contagocce, quelli come Touré e Keita li trovate a buon peso in altre formazioni, e Thierry Henry vaga come un Amleto nero alla ricerca del fantasma di se stesso: irriconoscibile. Tuttavia il Barça è superiore alle miserie dei punti deboli tanto che sembra non averne. Basta che si accendano l’immenso Xavi e Messi (molto impegnato da regista aggiunto) che l’orchestra suona, meno bene che nella stagione scorsa ma con la sicurezza per mettere in soggezione l’avversario e procurargli l’emicrania con la ragnatela di passaggi che ipnotizzano.

Le partite del Barcellona sono un "torello" lungo un’eternità. In quei momenti, cioè nel primo quarto d’ora, negli ultimi 10 minuti del primo tempo e per l’intera ripresa ai nerazzurri è venuta la gambetta corta, graziati all’8’ da una pallonata folle di Ibra, libero sotto la curva cui da interista rivolse dei gestacci, e al 41’ dal piede marmoreo di Keita, che non centrava la porta vuota sul tocco di Alves. Nei dintorni, le parate di Julio Cesar sulle conclusioni di Messi, straordinario per come si libera al tiro con tre passi. Al ballo mancava Ibra. Da Rodomonte a pulcino bagnato come diceva l’Avvocato di Robi Baggio, seduto in tribuna su invito di Pep Guardiola, suo compagno nel Brescia. L’Ibra che in Italia mandava volentieri a quel paese compagni, allenatori e pubblico pareva un’educanda a occhi bassi e strigliata da Messi al minimo errore: chissà se era l’effetto del ritorno a San Siro o la sindrome di Coppa che non gli ha mai fatto decidere una partita nè alla Juve nè all’Inter.

Mourinho, in piedi sotto la pioggia, protetto dall’impermeabile che fa tanto Philip Marlowe, ha cercato la quadratura perché i suoi non fossero del tutto in balia dei catalani, vestiti come cantonieri dell’Anas. Senza illudersi di fare il gioco, l’ordine di Mou era di stare coperti e innescare le punte con lanci improvvisi dietro la difesa spagnola. L’opera si infrangeva contro la quantità monumentale di fuorigioco di Milito e contro le incertezze di Eto’o, in gara con Ibra su chi fosse l’ex meno ingrato della serata. Restava troppo fuori dal gioco Snijder, che avrebbe dovuto fare da catapulta offensiva. Insomma l’Inter viveva una fase apprezzabile nel cuore del primo tempo, in cui Milito arrivava al tiro (29’) che provocava l’unica parata degna di Victor Valdes.

Tuttavia gli stranguglioni presi prima dell’intervallo, con l’apporto di Muntari che non ne azzeccava una e consegnava palla a Dani Alves, consigliavano di rientrare nella tana dove i nerazzurri sono rimasti per tutta la ripresa, a farsi toreare ma non battere perché a questo Barça vincitutto è svanita l’umile concretezza nel buttare la palla in porta. Con un compagno sempre da smarcare, i cantonieri di Barcellona si consumavano di passaggi più che di tiri e quando ci provava Dani Alves (30’) la mano di Stankovic rinviava, non vista da Stark, un arbitro così attento a non mettersi nei guai che in Italia sarebbe considerato un fenomeno.

lastampa.it
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